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Disfare il genere è femminismo (?)

(S)cultura da http://www.ideadestroyingmuros.info Istallazione di fili rossi di diverso materiale, principalmente lana e cotone. la figura umana è a grandezza naturale (1,60 cm). la stanza, interamente percorsa dai fili che compongono il corpo, è di 4m X 5m circa e alta 2,20. l'elaborazione della forma si è svolta in un tempo di 4 mesi circa.

 

Judith Butler, La disfatta del genere, Roma, Meltemi, 2006.

Dalla quarta di copertina:

È finita l’epoca del “discorso del genere”? Che cosa resta di un femminismo trincerato dietro l’immobilità di categorie interpretative ormai canonizzate?

PP. 206-207:

Nessuno è nella posizione di poter fornire una visione globale del femminismo e neppure una definizione di femminismo che possa rimanere incontestata. Penso sia corretto affermare che le femministe cercano ovunque di ottenere un’uguaglianza più sostanziale per le donne e un’organizzazione più giusta delle istituzioni sociali e politiche. Ma quando ci inoltriamo in una qualsiasi area, per considerare cosa vogliamo e come potremmo agire, siamo subito messe a confronto con la difficoltà dei termini di cui dobbiamo servirci. Emergono delle divergenze sul significato di uguaglianza, se essa implichi che uomini e donne debbano essere trattati in maniera intercambiabile. (…)

Si potrebbe di certo argomentare allo stesso modo sulla giustizia e sui mezzi per ottenerla. Corrisponde essa a “trattamento giusto”? È distinta dal concetto di uguaglianza? Qual’è la sua relazione con la libertà? Quali sono le libertà desiderate, come vengono valutate? Che dire  poi del disaccordo femminile circa la definizione di libertà sessuale, e della possibilità di una sua formulazione significativa a livello internazionale? A questi ambiti controversi, si aggiugano i costanti interrogativi su cosa sia una donna, sulla possibilità di un “noi” comprensivo, su chi possa dirlo e in nome di chi. Il femminismo sembra confuso, incapace di fissare i termini di un’agenda efficace. (…)

Ci sono molti motivi per disperare, ma credo che queste siano tra le questioni irrisolte più interessanti e feconde dell’inizio di questo secolo. Il femminismo non prevede una gamma condivisa di premesse da cui procedere, in maniera logica, nella costruzione di un programma politico. Al contrario, si tratta di un movimento che procede attraverso una costante rilettura critica delle sue premesse, nel tentativo di chiarire il proprio significato e iniziare a negoziare le interpretazioni conflittuali e l’insopprimibile cacofonia democratica della sua identità. In qualità di evento democratico, il femminismo ha dovuto abbandonare la supposizione dell’esistenza di idee unanimemente condivise, abbracciando la convinzione comune che tutti i valori più cari siano e rimangono questioni politicamente dibattute. Sembra che io sostenga che il femminismo, perso nella riflessione su se stesso, non possa costruire nulla, nè superare questo momento auto-riflessivo per impegnarsi più attivamente nel mondo.

Al contrario, è proprio nel farsi di una prassi politica impegnata che emergono queste forme di disaccordo interno. E vorrei anche sottolineare che resistere al desiderio di risolvere questo contrasto in unità è precisamente ciò che mantiene vivo il movimento.

La teoria femminista non è mai totalmente separata dal femminismo come movimento sociale.

Essa non avrebbe un contenuto se non esistesse un movimento e quest’ultimo, nelle sue varie direzioni e forme, è sempre stato coinvolto nel processo teorico. La teoria è un’attività che non rimane circoscritta all’ambito accademico. Essa prende forma ogni qualvolta una possibilità viene immaginata, un’auto riflessione collettiva si realizza, una disputa su valori, priorità e linguaggio emerge. (…)

Essendo una rappresentante tardiva della seconda ondata, mi avvicino al femminismo con la convinzione che non si debbano accogliere premesse che non siano state dibattute in un contesto globale. E quindi, per ragioni pratiche  e politiche, non è possibile ricavare alcun valore da dispute che costringono al silenzio. Le domande sono: qual è il modo migliore di attuarle  e predisporle il più produttivamente possibile, e agire in maniera da riconoscere l’irreversibile complessità di ciò che siamo?



Posted in Femminismi, Pensatoio.



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