ecco l’intervento letto oggi al termine della manifestazione in piazza dei Miracoli.
Riguardo alla manifestazione di oggi si detto -giustamente- che era opportuno e necessario che anche gli uomini scendessero in strada, non solo come forma di solidarietà, ma anche e soprattutto per rivendicare un diverso modello di uomo. Vorrei riflettere su questo punto perché mi sembra che tocchi nel vivo il dibattito che ha preceduto questa giornata, e anche perché in generale non si parla abbastanza delle responsabilità e delle interazioni tra i maschi ed il maschilismo.
Qualcuno ha ricordato che il maschilismo e la cultura di discriminazione che vige in italia non è stata portata da Berlusconi, ma piuttosto al contrario, che il premier è sintomo e degenerazione visibile di un fenomeno diffuso, che la commistione soldi-sesso-potere è antecedente e profondamente radicata nella società occidentale. Il potere maschile, o se vogliamo chiamarlo il sistema patriarcale, non è concentrato in un unica persona -Berlusconi- ed in un unico luogo -Arcore-, né discente verticalmente da un’unica fonte. Se fosse così sarebbe semplice cambiare la società, rimuovendo all’origine la fonte e la concentrazione del potere maschile.
Al contrario, il potere maschile è un potere diffuso, distribuito in tutti i rapporti sociali, col quale ci confrontiamo quotidianamente, costantemente, in ogni ambito della nostra vita, lavorativa, relazionale, culturale. Queste relazioni di potere non sono qualcosa di astratto, ma di estremamente concreto: quando parliamo di “cultura maschilista”, parliamo dei comportamenti delle persone, nel modo in cui parlano, in cui vivono, in cui si spostano, in cui lavorano, in cui amano, in cui fanno l’amore, in cui si uccidono. Ed in questi comportamenti, un ruolo lo svolgono -ovviamente- anche gli uomini.
Non voglio dire che gli uomini -tutti gli uomini- siano un esercito od un corpo di polizia dispiegato sul territorio per controllare e reprimere la popolazione femminile, ma che di fatto agli uomini viene proposto -implicitamente- un patto. Ci viene chiesto di aderire ad un modello, ad un sistema di relazioni codificato, o se non si tratta di adesione, comunque ci viene richiesto di riconoscere che quello è il modello, quella è la maniera di comportarsi. In cambio ci vengono offerti dei privilegi, che in qualche modo controbilancino la perdita che abbiamo sofferto accettando di identificarci, se non di omologarci, ad un unico modello.
Questo patto, questa adesione, non ci viene proposta da Berlusconi, o da Lele Mora, o da Emilio Fede. Ci viene proposta dai nostri padri, dai nostri fratelli, dai nostri compagni di studio, dai colleghi, dai conoscenti. Dobbiamo renderci conto che agli uomini viene chiesto di sorvegliarci l’un l’altro, perché nessuna polizia politica potrebbe avere un controllo tanto diffuso nella società come ce l’ha il potere maschile.
Il modello di uomo che propongono i quotidiani è degradante, è vero. Ma come è stato giustamente detto per le donne, non si tratta di recuperare un ruolo perduto, un bel tempo che fu, quando le famiglie erano felici e la società armoniosa, con gli uomini nelle fabbriche e negli eserciti e le donne nelle cucine e nei bordelli. Non si tratta di restaurare niente, perché non è quello il modello in cui ci vogliamo riconoscere. Se scendiamo in piazza oggi, non è per difendere una dignità di uomini offesa, ma per liberarci da quelle relazioni di omertà maschile nelle quali hanno provato ad arruolarci.
Ci hanno armati e ci hanno istruiti per difendere un sistema, e quello che possiamo fare noi altro non è che deporre le armi, che vuol dire rinunciare ai privilegi che ci sono stati concessi -il che non è semplice né indolore. Diventiamo disertori del maschilismo, neghiamo la solidarietà che ci viene chiesta contro le donne, decidiamo che la nostra sessualità e la nostra affettività appartiene solo a noi stessi e non a qualche pubblicitario con manie velleitarie.
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