di Mariangela Priarolo
Nonostante le polemiche, anche legittime, che l’hanno accompagnata, la mobilitazione delle donne a cui stiamo assistendo in questi giorni non può che essere salutata con un sospiro di sollievo. La necessità di (ri)costruire un movimento femminile, unendo la battaglia suscitata dall’indignazione per il famigerato Rubygate con le lotte di chi non ha mai cessato di combattere in difesa dei diritti delle donne, sembra infatti tanto più urgente oggi di fronte all’incessante aumento delle violenze sulle donne (si veda ad esempio http://bollettino-di-guerra.noblogs.org).
È importante notare in questo senso come tali violenze vengano sovente citate dai (tele)giornali o giustificando tacitamente e implicitamente i carnefici, presentati come individui integerrimi o membri inappuntabili della società improvvisamente impazziti a causa di un qualche comportamento della (ex)compagna, oppure, e forse peggio ancora, proponendo un’equazione indissolubile tra immigrazione e violenza. Ecco allora ricomparire sulle prime pagine, cartacee o catodiche, “allarmi stupro”, “emergenza violenza” e proclami di ogni genere, sbandierati da ministri, politici e non meglio identificati esperti, tutti uniti nel ripetere parole d’ordine quali “sicurezza” “controlli capillari” “sorveglianza diffusa”. L’invito alle donne è ahimé sempre il medesimo: chiudersi in casa, sprangare porte e finestre, allungare le gonne, e diffidare di qualunque maschio sconosciuto nel raggio di chilometri.
Eppure, una rapida occhiata all’indagine approntata dall’Istat nel 2006 mostra una situazione assai diversa, e a dire il vero molto piu’ inquietante, rivelando come nella maggioranza dei casi delle violenze sulle donne siano responsabili nientemeno che i partner delle vittime. Come recita il documento dell’Istat, «i partner sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate. I partner sono responsabili in misura maggiore anche di alcuni tipi di violenza sessuale come lo stupro nonché i rapporti sessuali non desiderati, ma subiti per paura delle conseguenze. Il 69,7% degli stupri, infatti, è opera di partner, il 17,4% di un conoscente. Solo il 6,2% e’ stato opera di estranei. Il rischio di subire uno stupro piuttosto che un tentativo di stupro è tanto piu’ elevato quanto piu’ e’ stretta la relazione tra autore e vittima. Gli sconosciuti commettono soprattutto molestie fisiche sessuali, seguiti da conoscenti, colleghi ed amici. Gli sconosciuti commettono stupri solo nello 0,9% dei casi e tentati stupri nel 3,6% contro, rispettivamente l’11,4% e il 9,1% dei partner».
Di fronte a simili dati è difficile non pensare che “l’emergenza stupri” venga chiamata in causa solo per legittimare forme di restrizione della libertà personale e politiche di discriminazione contro gruppi sociali marginali ed emarginati, e non invece per attirare l’attenzione su un problema drammatico com’è quello della violenza sulle donne.
Del resto, interessarsi davvero a questo tema significherebbe mettere in discussione quello che è probabilmente l’ultimo grande totem del nostro paese, la Famiglia, la quale, ben lungi dall’essere quel caldo nido di affetto e comprensione di cui i (tele)giornali e i politici tessono continuamente le lodi, è in realtà, assai più spesso, un gelido inferno senza vie d’uscita.
Mariangela Priarolo
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