Riflessioni sulla giornata del 13 febbraio
La presenza delle escort ad Arcore e il comportamento del presidente del consiglio hanno sicuramente fatto scandalo a livello di senso comune, senza tuttavia dare un inizio ad un’analisi più profonda in cui venga mostrato come non sia l’atteggiamento machista di Berlusconi a poter essere in sé classificato come scandalo, ma che lo diventa se contestualizzato in un preciso ambiente culturale e sociale. Un ambiente dove, da quindici anni a questa parte, il corpo femminile viene mercificato attraverso l’imposizione di una cultura in cui sembra normale che una donna seminuda e sensuale debba invogliare a comprarci una macchina costosa in tempo di crisi, come se rappresentasse il premio che ci spetta per aver fatto questa grande spesa.
La vicenda berlusconiana non è quindi una caso singolo ed eccezionale, ma è il diretto prodotto di questo tessuto socio-culturale in cui il corpo viene visto come un oggetto che può essere ceduto in cambio di favori, che sia l’entrata in un’istituzione pubblica o una telefonata in questura, poco cambia. Fatto sta che il corpo femminile passa da un piano strettamente privato ad una dimensione pubblica di spettacolarizzazione, nella quale vengono imposte delle vere e proprie norme riguardanti la gestione dei propri desideri, degli affetti, della sessualità.
Contrariamente a quanto sostiene l’opinione mainstream questo biopotere, che si esprime nel controllo della vita in generale, investe anche il genere maschile e il rapporto uomo-donna attraverso l’imposizione del modello dell’uomo tipicamente eterosessuale e predominante, che deve trattare come un oggetto le donne, dimostrando tutta la sua virilità da super-prestazione.
Come risposta a questa situazione, l’appello per la giornata del 13 febbraio ci sembra fuorviante perché, frutto della visione perbenista della sinistra e della morale de noaltri, ripropone una figura di donna angelica, tutta dedita al sacrificio, al lavoro di cura, ad un’occupazione professionale malpagata. Una donna che è solo in relazione ad un nucleo familiare a cui fa riferimento.
A questa donna-modello ne viene contrapposta un’altra con una scala di valori diversa, che preferisce arrivare senza fatica dove le altre impiegano molto più tempo e molti più sforzi.
Questo mette in campo una visione assolutamente unidirezionale della prostituzione (premessa la complessità dell’argomento e lo sfruttamento insito all’interno della situazione italiana) che viene messa associata alla corruzione della donna, come se essere puttana fosse in sé una denigrazione che porta a “vincere più facilmente”. Non esiste una visione univoca della prostituzione: la libertà di questo lavoro dovrebbe esaudirsi nella possibilità di decidere delle condizioni di tutela e garanzia dei diritti, compresa la scelta di concedere o meno la prestazione. In questo modo si può essere davvero soggetto libero e consapevole, uscendo dal modello di comportamenti dominante di cui si è parlato in precedenza.
Insomma, questa dicotomia sante/puttane ci sembrava ormai superata, soprattutto in un paradigma in cui si viene obbligati a mettere a profitto la propria esistenza nella sua totalità e in qualsiasi circostanza.
Oltre al controllo dei corpi, da legare allo “scandalo berlusconiano”, un altro tema caldo è quello della corruzione all’interno delle istituzioni della rappresentanza. Corruzione da non intendersi in senso moralistico come condanna dell’atto sessuale, ma come abuso della propria carica istituzionale e dei fondi pubblici in funzione dei propri interessi. E’ possibile continuare a fare festini come Bertolaso e Berlusconi, a godere di privilegi finanziari e al contempo invocare l’umiltà dei cittadini, chiedendo loro di accontentarsi di lavori umili per trovare un’uscita dalla precarietà? Perché il richiamo al sacrificio e alla sobrietà sembra non dover esser valido per tutti?
Nonostante queste perplessità saremo in piazza il 13 febbraio, per attraversarla e contaminarla in modo diverso, accogliendo la proposta del comitato per i diritti dei/delle sex workers di scendere in piazza con ombrelli rossi.
La nostra prospettiva è di iniziare ad aprire un orizzonte costituente che investa sia l’ordine del discorso che quello delle pratiche. Partendo da un cambiamento del comune senso linguistico, che deve passare necessariamente attraverso una riappropriazione e risemantizzazione di certi termini, si deve arrivare alla “disfatta del genere” inteso come identità precostituita (che va dalla sessualità ai rapporti di lavoro, alle relazioni e gli affetti, ecc) che viene imposta ad un individuo con un certo sesso biologico, incatenandolo ad uno stile di vita predeterminato e confinandolo all’interno di luoghi comuni.
Quando iniziare ad aprire questa fase costituente?
Non ora, non tra un po’: SEMPRE!
Laboratorio Sui Generis – Tijuana Project Pisa
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