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Dignità, libertà, autodeterminazione: riflessione sul 13 febbraio e oltre

da Aut Aut Pisa

La giornata di ieri, che ha visto scendere in piazza più di un milione di persone in tutta Italia, è stata ricca di soddisfazioni, contraddizioni, emozioni, riflessioni. Difficile, e forse non del tutto corretto, ricondurre il tutto ad un minimo comune denominatore. Per questo scegliamo di raccontare la giornata, oltre che con due video che raccolgono tante voci, con spunti di riflessione personali e parziali, come quello che segue, che speriamo sia il primo di una lunga serie.

Il serpentone che attraversa la città da piazza Sant’Antonio alla torre è impressionante. Non solo per i numeri (decine di migliaia di persone), ma anche per la composizione: donne e uomini, prevalentemente sulla cinquantina, che probabilmente da una vita non scendono in piazza o che, forse, non ci sono mai scesi.

La prima immagine che mi si affaccia alla mente sono quelle stesse strade, solo qualche mese fa, gremite di studenti e studentesse in lotta contro la riforma Gelmini: i blocchi, le occupazioni, i cortei. Ne ritrovo alcuni e alcune nello spezzone critico degli ombrelli rossi, un po’ spaesati in mezzo a una fiumana eterogenea, che va dal Popolo Viola, alle associazioni pacifiste, dai sindacati, ai collettivi femministi.

Qualcosa nello stomaco mi si aggroviglia, un nodo che sta lì, stretto, e non mi abbandona più fino agli interventi conclusivi, dove una donna rom reclama la propria dignità e il proprio diritto a un tetto sopra la testa accanto a un’assessora della giunta PD, che della lotta all’abusivismo per la dignità dei cittadini ha fatto il cavallo di battaglia della propria governance.

Torno a casa e vedo su Repubblica Piazza del Popolo gremita di persone. A parlare, sul palco, c’è anche Giulia Bongiorno, che dà lezioni di femminismo, libertà, autodeterminazione a una piazza plaudente.

Non posso fare a meno di pensare a quella stessa piazza, solo qualche mese fa, il 14 dicembre: centinaia di corpi e teste, di ragazzi e ragazze, uomini e donne, che, con lucidità e (auto)determinazione, hanno scardinato l’immaginario che li voleva festosi e colorati nelle strade, mentre nei palazzi del potere, tra indegne compravendite, una classe politica marcia (tra cui, ironia della sorte?, l’on. Bongiorno) decideva del loro futuro.

Il nodo allo stomaco è ancora lì.

Dignità, libertà, autodeterminazione, femminismo: parole che nella piazza, nelle piazze di ieri sono state utilizzate con troppi significati diversi, spesso in netta contrapposizione fra loro, spesso in modo strumentale, spesso con una confusione disarmante. Parole che chi ha portato avanti in questi anni le lotte per consultori liberi e laici, per la pillola abortiva, contro le ordinanze anti-prostituzione, contro i tagli al welfare, contro gli attacchi alla legge 194, contro la legge 40 e la legge 30, non può sentire pronunciate da certi personaggi o con certi significati senza che le/gli si aggrovigli, appunto, lo stomaco.

Eppure credo che, pur con tutti i mal di pancia annessi, sia stato giusto essere in piazza ieri. Soprattutto perché il 13 febbraio, prima e dopo il corteo, ha avuto come effetto quello di risvegliare un dibattito all’interno del movimento, che, forte del suo portato di lotta, ha saputo politicizzare una questione che l’altra faccia della medaglia del potere avrebbe voluto far passare come una questione morale. Lo dimostra l’occupazione della sede del PdL da parte delle compagne torinesi, lo dimostrano gli spezzoni critici che in ogni città hanno fatto sentire la loro voce, lo dimostrano le decine di interventi che, quasi sempre lontano dai riflettori del main-stream, hanno riempito i blog e social-network. Queste riflessioni, pur nelle ovvie differenze che caratterizzano elaborazioni teoriche profonde e non confezionate ad hoc, hanno tuttavia unanimemente denunciato che il modello-Arcore non è un’eccezione nel panorama dei rapporti uomo-donna, ma che invece permea di sé anche le relazioni “socialmente accettate”. E che questo modello relazionale non è altro che la trasposizione in chiave gender di un modello economico e sociale basato sullo sfruttamento e la sopraffazione, da cui non ci si può liberare “in parte”, ma che è necessario combattere in tutte le sue declinazioni.

Ancora una volta, dunque, come già per il movimento studentesco, tramite la rete, i blog, i social network, oltre le strumentalizzazioni e le logiche della compatibilità, si è diffuso un immaginario di rottura che è stato in grado di individuare delle parole d’ordine e una controparte precise. Svanite le fiammate estemporanee, gli opportunismi, la confusione, saranno queste parole forti e precise che, spero, continueranno a guidare le lotte di tutti e di tutte.

Tina M.

Vedi anche:

La grande Beffa: sante, puttane e i giochi del potere

Corteo del 13 febbraio. Uno spezzone critico con gli Ombrelli Rossi

Posted in Manifestazione, Pensatoio.


One Response

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  1. luther says

    I mille piani della politica

    Non si può leggere la giornata di domenica 13 febbraio e la manifestazione -dal risultato inaspettato anche agli stessi organizzatori- senza saper vedere le differenze che si sono sviluppate tra città come Roma e Torino e altre come Bologna e Pisa. Non si riesce a vedere l’immenso portato politico che si è manifestato in piazza se non si vede l’inversione tra il palco dei comizi dei politici, anche di destra, a Roma, e gli interventi conclusivi a Pisa, con i politici di professione imbarazzati ed infastiditi. Non si può leggere la composizione sociale della piazza di domenica come un’accozzaglia eterogenea e giustapposta di strutture politiche, o come una manifestazione di cinquantenni imbellettate.

    Non si può usare questa lente di lettura se domenica si era in piazza, e si è visto cosa è successo in realtà: una presenza massiccia, uniformemente distribuita in una campana di età che va dai 6 agli 80 anni, che è scesa in piazza soprattutto per se e a rappresentanza di sé stessi. Una fiumana che è riuscita, partendo da un appello nazionale parecchio criticabile, a stiracchiarlo in ogni direzione, allargandolo fino a stravolgerne l’impianto, aprendo spazi di agibilità politica per tutti quei soggetti che non ne erano inclusi.

    Altrimenti non si spiega com’è possibile che ad una manifestazione nata da un appello alle “donne italiane” partecipi la comunità Rom minacciata di sgombero.
    Altrimenti non si spiega come mai il simbolo degli ombrelli rossi si sia diffuso in maniera così virale, sia stato assunto come accettabile dalla totalità del corteo, ed in qualche modo l’icona dei diritti delle sex-workes si sia ibridato a rappresentare anche di più. Altrimenti non si spiega com’è che ad una manifestazione a rischio di strumentalizzazione da parte del centro-sinistra si riescano ad individuare precise rivendicazioni locali e sul territorio come quelle che sono state evidenziate durante gli interventi conclusivi: ordinanza contro la prostituzione, ordinanza di sgombero dei campi rom, costruzione e allargamento dell’Hub militare.

    Tutte posizioni tenute assieme da un discorso, o volendo da un’idea di società, che è riuscito a ricomporre temi apparentemente così distanti. Senza fare sconti a nessuno, con la dignità di chi sta riportando al centro del tavolo le questioni importanti. Quelle sì, reali.

    Durante le manifestazioni-fiume degli studenti, si è avvertito -in molti abbiamo avvertito- una grossa mancanza. La mancanza di tutto il resto della popolazione, cittadina, precaria, femminile, lavoratrice, migrante, che pur solidale con gli studenti in protesta, non ha trovato forme realmente efficaci per esprimere questa solidarietà. Quella di domenica è un primo esperimento, una presa di parola che rivendica non solo qualcosa per sé, ma che riesce a costruire relazioni, ad intrecciare le mille lotte contro le mille forme di oppressione, che sa puntare alto ma vuole prendersi cura del proprio piccolo. Un corteo dove hanno trovato posto donne, lesbiche, migranti, studenti, lavoratori, sex-workers, ed un tentativo di ricomporre ciò che è stato separato.



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